Una mossa estrema, più volte minacciata e ora molto più vicina alla realtà: Vladimir Putin si prepara a nazionalizzare le aziende occidentali rimaste in Russia. Almeno quelle considerate “cattive”, che non stanno al gioco dettato da Mosca, rendendo molto più complicato lasciare il Paese. Lo scrive il Financial Times, facendo riferimento a un provvedimento ordinato dal Cremlino per rendere possibile acquisire asset occidentali a prezzi stracciati, un primo passo per pensare misure più draconiane andando verso la piena nazionalizzazione.
Le fonti citate dal quotidiano britannico fanno riferimento a una strategia che punta a utilizzare ‘il bastone e la carota’, con l’intenzione di punire le aziende ostili e premiare quelle che, al contrario, fossero disponibili a seguire le regole del Cremlino.
Il decreto fornirebbe allo Stato russo il potere di acquisire il diritto di comprare asset con uno sconto significativo rispetto al reale valore, in modo da poterlo poi rivendere con profitto. Non solo. Qualunque società commercializzi asset occidentali dovrà essere interamente posseduta da russi o deve avviare una procedura per escludere gli azionisti stranieri. Esplicita la spiegazione fornita da Dmitry Peskov, il portavoce di Putin. Gli investitori e le aziende occidentali “sono più che benvenuti” in Russia ma “chi ha smesso di pagare i salari o ha lasciato il Paese a fronte di ingenti perdite” finisce nel gruppo delle aziende “cattive”. In questi casi, “quello che facciamo con i loro asset diventa affare nostro”.
Tutto questo è più di un passo verso la nazionalizzazione di una parte delle aziende occidentali rimaste. Quelle che non si piegano al ‘pizzo’ imposto dal Cremlino. Putin ha bisogno di denaro e, nella sua visione esasperata dall’andamento del conflitto in Ucraina, ritiene sia arrivato il momento di appropriarsi di tutte le risorse disponibili. Finora, il circolo ristretto di persone che si muove intorno a Putin ha parlato di nazionalizzazione senza arrivare a mosse concrete. Anche perché gli economisti russi hanno sempre suggerito cautela, facendo riferimento al ruolo cruciale rivestito dai capitali occidentali per l’economia russa. Il Cremlino finora ha usato le imprese occidentali come un bancomat, per compensare parte delle mancate entrate del settore energetico. Chi ha scelto di rimanere in Russia ha concesso sconti del 50% ai buyers russi e ha contribuito ‘volontariamente’ al budget russo con un’elargizione compresa fra il 5 e il 10% di ogni singolo affare. Una spinta significativa a mantenere una posizione equilibrata, allontanando l’ipotesi nazionalizzazione, è arrivata finora dalla Governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina, preoccupata per la tenuta del mercato interno.
Ora, però, sembra arrivato il momento della resa dei conti con quella parte di aziende occidentali sostanzialmente ferme, in attesa di tempi migliori. Il senso del decreto voluto da Putin è chiaro: o si lavora con e per il Cremlino o si finisce nazionalizzati. (Di Fabio Insenga)