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25 marzo 2023

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Schwa, atti giudiziari, professioni al femminile, l’Accademia della Crusca fa chiarezza


1. L’annosa questione delle declinazioni di genere

L’Accademia della Crusca rispondendo al quesito del Comitato Pari Opportunità del Consiglio Direttivo della Suprema Corte di Cassazione sulla parità di genere negli atti giudiziari, ha fornito alcune indicazioni.
Evitare l’utilizzo dell’articolo determinativo davanti ai cognomi delle donne e i segni eterodossi, come asterischi e schwa (il simbolo della e capovolta che viene utilizzato per declinare i sostantivi al genere neutro) e declinare al femminile le professioni e le cariche.
Nella premessa al documento scrivono che le norme linguistiche sinora utilizzate riprendono quelle che furono introdotte dall’attivista femminista, linguista, saggista e insegnante romana Alma Sabatini, che a sua volta si ispirò al modello anglosassone.
Prendendo in considerazione le correnti di pensiero non in accordo con misure eccessive sulla lingua, la Crusca sostiene che  “i principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali”.
A questo proposito hanno individuato alcune indicazioni pratiche che devono essere applicate negli ambiti giudiziari, che, a dire il vero, possono anche essere considerate istruzioni di carattere generale.

2. L’Accademia vieta l’asterisco al posto delle desinenze

Nello specifico si tratta dell’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico (car* amic*, tutt*).
A questo proposito, la Crusca afferma che “la lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto e in una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per il quale i generi e gli orientamenti si sentano rappresentati, continua ad essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che è un modo di includere e non di prevaricare”.
Il diniego all’utilizzo dell’articolo davanti al cognome non conosce eccezioni neanche nel caso di uomini illustri.
Cade l’articolo “Il” anche nel caso di Manzoni .
Nonostante non venga condivisa la tesi “scarsamente fondata” di chi ritiene discriminatorio l’utilizzo dell’articolo determinativo davanti ai cognomi delle donne così come degli uomini, l’Accademia ha provveduto a constatare che “questa opinione si è diffusa nel sentimento comune, per il quale il linguaggio pubblico ne deve tenere conto”.
Sempre secondo la Crusca, per garantire l’informazione completa, specie nel caso di nomi poco noti, “dovrà essere sufficiente aggiungere il nome al cognome, o la qualifica”.

3. Le cariche e professioni declinate al femminile

In relazione a questa questione, l’Accademia della Crusca invita a ricorrere alla declinazione femminile dei nomi che indicano professioni o cariche istituzionali seguendo le semplici regole grammaticali.
I nomi maschili che terminano con“o” prendono il suffisso “a” al femminile.
I nomi che terminano con “e” possono essere ambigenere, oppure, se terminano con “iere”, prendono il suffisso “iera”, se terminano con “a” o “sta” sono ambigenere al singolare, mentre al plurale assumono i suffissi “i”, “isti” al maschile e “e”, “iste” al femminile, con l’unica eccezione di poeta, poetessa, se terminano con “tore” assumono il suffisso femminile “trice”, anche se pretore al femminile è pretora.
Ad esempio, nei nomi composti con “vice” o “pro”, ci si rivolge al genere della persona alla quale è, a sua volta, rivolto l’appellativo, mentre, Pubblico Ministero al femminile diventa Pubblica Ministera.


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