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12 dicembre 2019

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Strage di Piazza Fontana: 50 anni di nebbia intorno ai processi


Faceva freddo e c’era una nebbia fitta a Milano alle 16 e 37 del 12 dicembre del 1969, quando una bomba causò 17 morti e oltre 80 feriti nella Banca nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, dove erano in corso le contrattazioni del mercato agricolo e del bestiame. Della strage quest’anno, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà celebrato il 50esimo anniversario, mentre la fitta nebbia di quel giorno ha continuato da avvolgere tutti i sette processi che si sono celebrati (tre le inchieste) e che non hanno mai portato all’accertamento della responsabilità personale di esecutori, mandanti e depistatori. Una vicenda giudiziaria che ebbe fine nel 2005, quando la Cassazione la chiuse con un’assoluzione generalizzata degli imputati presi in esame dall’indagine scaturita negli anni ’90 dal lavoro sulle “Trame nere” dell’allora giudice istruttore Guido Salvini che di recente ha anche pubblicato un libro dal titolo emblematico: “La maledizione di Piazza Fontana’. Una “maledizione” che cominciò subito dopo l’attentato, con la pessima idea di far brillare un altro ordigno inesploso nella sede dalla Banca commerciale italiana di piazza della Scala, disperdendo elementi utili alle indagini. Non era innescato ed era contenuto in una borsa nera Mosbach & Gruber che, con gli orologi Rhula, diventerà un marchio di fabbrica dello stragismo nostrano. Da subito le indagini sulla pista anarchica, l’arresto del ballerino Pietro Valpreda, frettolosamente o dolosamente individuato come autore della strage e che sarà assolto nel 1985 dopo un lungo calvario giudiziario; il 15 dicembre la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli precipitato dal quarto piano della questuradurante un interrogatorio. Qualche tempo dopo la pista nera con le indagini su elementi di Ordine Nuovo padovani e l’incriminazione di Giovanni Ventura e dell’editore ‘nazimaoista’ Franco Freda. Poi lo choc, con la decisione di trasferire il processo da Milano a Roma, da Roma nuovamente nel capoluogo lombardo e infine a Catanzaro.

Risultato: assolti sia Valpreda, sia i neofascisti. Negli anni ’90 sembra di intravvedere una luce nel tunnel in cui le inchieste erano sprofondate. Si fanno avanti i primi pentiti: l’armiere di Ordine nuovo in Triveneto, Carlo Digilio e il militante mestrino Martino Siciliano. Raccontano nel dettaglio di riunioni preparatorie agli attentati culminati con quello di piazza Fontana, forniscono ragguagli su esplosivi, congegni, sulle cellule padovane e mestrine di On e sui milanesi del gruppo La Fenice. L’inchiesta sfocia in un processo nel 2000. Imputati l’ordinovista Delfo Zorzi, ormai ricco imprenditore della moda in Giappone, il reggente di O.N., il medico veneziano Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, capo del gruppo milanese La Fenice, Roberto Tringali, accusato di favoreggiamento e lo stesso Digilio. Alla fine ergastolo per Zorzi, Maggi e Rognoni, mentre per Digilio scatta la prescrizione. Tre anni dopo la doccia fredda per i famigliari delle vittime. In appello fioccano le assoluzioni. Digilio non è ritenuto credibile e, nelle more, c’è stata anche la brutta vicenda della ritrattazione di Siciliano, ‘comprata’ da Zorzi.

Il 3 maggio del 2005 di nuovo la parola fine. Gli imputati sono assolti definitivamente anche se i giudici della Suprema Corte, nelle motivazioni, confermano il quadro emerso dalle indagini e come gli attentati fossero opera di Ordine nuovo. Di più: la Corte ritiene che debba darsi una risposta “positiva” al giudizio di responsabilità di Freda e Ventura per “la strage di Piazza Fontana e gli altri attentati commessi quel giorno”. Freda e Ventura non sono però giudicabili in quanto già processati e assolti in via definitiva per gli stessi fatti.
Un’ulteriore beffa, come quella del pagamento delle spese processuali a carico dei parenti delle vittime. Decisione ‘sanata’ dalla Presidenza del Consiglio che si era costituita parte civile e aveva provveduto al pagamento. (Fonte Ansa)


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