Si perdono ormai nei meandri del passato, a beneficio solo delle note amarcord di chi vuole cercarli e riviverli, sbiaditi nella nebulosa dei ricordi sparsi nei file mnemonici, i tempi in cui a dirigere l’Ufficio di Polizia di Frontiera Aerea di Fiumicino era il dott. Rosario Testaiuti, mentre a capo dell’organo di coordinamento denominato V Zona, competente per tutti i reparti della Polizia di Stato con attribuzioni mansionali di matrice frontieristica del Lazio, dell’Umbria e della Sardegna, sedeva il dott. Antonio del Greco.
E’ stato un periodo in cui, nonostante la cronica e annosa carenza di risorse umane, che attanaglia e coarta da sempre l’attività operativa della Polizia di Frontiera di Fiumicino, l’impegno e la capacità gestionale dei vertici e lo spirito di abnegazione di tutti i poliziotti, disposti a sacrificare, sull’altare dell’interesse supremo dei corpi collettivi, anche considerevoli spazi legati alla sfera personale e familiare, ha reso possibile garantire accettabili standard di sicurezza per i cittadini. Un capitolo della storia della Polaria che ha fatto registrare effetti assai positivi nel suo complesso e in cui si inserisce da protagonista il sindacato Uil Polizia, da sempre molto attivo, avendone scritto molte pagine importanti sul fronte della difesa dei diritti del personale, ma senza mai dimenticare gli interessi dell’amministrazione, un bilanciamento possibile grazie alla non comune capacità del dott. Testaiuti, da sempre schivo rispetto ai bagliori della popolarità preferendovi la concretezza del mestiere, di recepire puntualmente le istanze delle associazioni di categoria e di adoperarsi in chiave risolutiva, sempre attento a contemperare le esigenze delle due parti attive nel confronto dialogico. Un’armonia d’intenti che ha favorito uno straordinario spirito collaborativo capace di condurre alla soluzione di problematiche che da sempre affliggevano il reparto, con il risultato di rendere più motivati i dipendenti e assicurare un servizio d’istituto più efficace. Perché l’appello alla garanzia dei diritti individuali e collettivi è stata da sempre considerata dall’organizzazione sindacale in questione la via maestra da seguire per realizzare nel migliore dei modi i propri obiettivi, aggrappandosi costantemente alla giustizia come etica ben radicata nella sua intensa storia associativa. Dalle sollecitazioni per incentivare lo straordinario programmato, alla prevenzione del rischio asbesto correlato, passando per l’abolizione di quell’istituto “fantasma” denominato “forza assente”, sono stati tantissimi i risultati incassati dalla Uil Polizia nell’alveo dei diritti e della sicurezza sui luoghi di lavoro, grazie alla spiccata sensibilità professionale del dott. Testaiuti, ben consapevole, in perfetta sintonia con i dirigenti del prefato sindacato, che un poliziotto che adempie i suoi compiti istituzionali in una condizione di serenità emotiva è più stimolato e assicura un rendimento lavorativo ottimale, che si traduce in impeccabili standard qualitativi della performance, e massimi livelli di sicurezza offerti ai corpi collettivi, obiettivo finale di tutta l’attività di polizia.
La storia recente della Polizia di Frontiera ci racconta che fu una dirigente sindacale della Uil Polizia a fornire per prima la disponibilità a effettuare lavoro straordinario programmato, fornendo l’impulso iniziale per l’applicazione di un istituto che, ancorché molto propugnato a livello ministeriale, faticava a decollare. L’impegno sindacale della Uil Polizia e l’animo collaborativo del dirigente Testaiuti condussero, dopo alcuni approcci distorti all’istituto in questione, a una percentuale di fruizione perfettamente in linea con le direttive del dipartimento e col dettato dell’Accordo Nazionale Quadro.
Per delineare compiutamente la particolare attenzione evidenziata dal dott. Testaiuti verso la tutela della salute dei poliziotti basta eleggere a esempio un intervento immediato posto da lui in essere a seguito di una segnalazione da parte della Uil Polizia in afferenza alla presenza di eternit in un manufatto ubicato proprio a ridosso della mensa di servizio. Il sindacato ne aveva chiesto l’immediata rimozione, nutrendo una martellante preoccupazione per i possibili pregiudizi alla salute di chiunque ivi transitasse, in relazione ai rischi clinici di patologie asbesto-correlate, specie dopo l’apparizione di un improbabile cartello che annunciava un “pericolo amianto”, che tradotto suonava pressappoco come “attenzione a non respirare”. Un’azione avviata con subitanea determinazione e capace di giungere a una soluzione in tempi piuttosto contenuti, nonostante i numerosi elementi ostativi in termini procedurali, dovuti al fatto che la proprietà del manufatto in esame è della società Aeroporti di Roma e la gestione appartiene alla Guardia di Finanza.
La piena estrinsecazione della sua coscienza istituzionale, ispirata costantemente al principio di legalità e al rispetto dei diritti dei dipendenti, si è apoditticamente dispiegata in tutta la sua essenza nella congiuntura che lo vide artefice dell’abolizione della cosiddetta “forza assente”, un istituto “fantasma” non confortato da alcuna prescrizione normativa o regolamentare, che dava all’amministrazione una potestà arbitraria, gravata da lunghe ombre di incostituzionalità, inficiante il diritto alla salute (art. 32), in quanto comprimente la libertà di cura del cittadino poliziotto e conseguentemente incidente la sicurezza dei corpi collettivi. Infatti il dipendente che rientrava da un periodo di assenza per malattia, causato da qualsivoglia tipologia clinica, travalicante il limite temporale di tre mesi, in virtù di tale applicazione, che non si comprende dove affondasse le radici e da dove traesse il suo fondamento giuridico, poteva essere trasferito ad altro ufficio. Pertanto poteva capitare che il poliziotto che aveva avuto il “torto” di scontrarsi con la malasorte e di ammalarsi, pur di non imbattersi nell’incognita di un trasferimento, previsto da tale prassi, che si correva costantemente il rischio potesse diventare un formidabile strumento di ricatto, cercasse di forzare il suo rientro in servizio, con il pericolo di una ripresa dell’attività istituzionale in condizioni fisiche ancora precarie, che, viste la peculiarità e la delicatezza delle attribuzioni mansionali espletate, potevano tradursi nella trasformazione dello stesso in una fonte di detrimento per sé e per gli altri. Conseguenze rilevanti che sono state colte immantinente dal dottor Testaiuti, il quale, con spiccata sensibilità professionale, volta sempre alla tutela dell’integrità psicofisica del personale da lui gestito e al conseguente grado di sicurezza da offrire all’utenza del parenchima sociale, ha posto fine all’assurda pratica.
A raccogliere l’eredità del dott. Testaiuti a capo della Polizia di Frontiera di Fiumicino è stata la dottoressa Rosa Tabarro, mentre il dott. del Greco alla guida della V Zona è stato sostituito dal dott. Tiziano Vetro, funzionario di lungo corso giunto presso l’Aeroporto Leonardo da Vinci dopo oltre 40 anni di carriera e reduce da un’interessante esperienza come coordinatore del servizio nell’organico della Protezione Civile, allora diretta dall’attuale capo della Polizia Franco Gabrielli.
La Uil Polizia è stata da subito molto critica nei confronti della dirigente Tabarro. Pur tributandole attestati di stima in merito al suo spessore umano, nonché allo straordinario e lapalissiano spirito di abnegazione esternato sotto il profilo professionale, l’organizzazione sindacale di base, presieduta a livello nazionale dallo storico sindacalista Oronzo Cosi, ha notevolmente censurato alcuni aspetti gestionali su vari fronti, come l’uso disinvolto della potestà disciplinare per lievi mancanze rilevate, con contestazioni di addebiti puntualmente rispedite al mittente dal sindacato, in quanto ritenute infondate, ma terminate pressoché sempre con provvedimenti sanzionatori, più volte anche nei confronti di una dirigente sindacale locale della Uil Polizia, con una storia disciplinare quasi trentennale assolutamente scevra, fino ad allora, di censure comportamentali.
Un terreno di scontro nel quale l’associazione di categoria, che vede in Antonio Costa il suo segretario generale provinciale di Roma, ha dato dura battaglia è quello afferente alla gestione degli uffici e alla relativa assegnazione del personale. Emblema delle note e tangibili divergenze manifestatesi è stata la ferma opposizione del sindacato a un provvedimento assunto dalla dottoressa Tabarro, la quale assegnava a una nodale e delicata sezione come l’Ufficio Pratiche Sanitarie una dipendente col grado di assistente capo in qualità di capufficio. Tutto questo quando in altri uffici erano tanti i poliziotti col grado molto più elevato di ispettore, i quali potevano essere designati a dirigere l’ufficio testé citato. Basta fare una disamina, nemmeno troppo approfondita, per riscontrare, ictu oculi, varie incongruenze. Addirittura presso l’Ufficio Economato, da sempre retto da un funzionario civile senza nemmeno un sottufficiale, in quel frangente, ad affiancare il prefato funzionario, erano stati collocati un sostituto commissario e due ispettori capo (ancora oggi in quella sede e per cui la UIl Polizia annuncia che “formulerà istanza al nuovo dirigente”, di cui parleremo successivamente, “una ricollocazione”), uno spreco di risorse pubbliche, quando probabilmente sarebbe stato più giusto e logico valorizzare diversamente le suddette figure professionali, mentre ripetiamo, un’assistente capo (divenuta solo successivamente sovrintendente) era stata posta a capo di un ufficio nevralgico per tutta l’attività operativa della Polaria. La dottoressa Tabarro pare essersi dimostrata sempre alquanto impermeabile alle critiche mosse dal sindacato, rivendicando la sua autonomia decisionale nella gestione degli uffici. Nulla da obiettare in merito alle pretese deliberative imposte dall’attribuzione mansionale del ruolo rivestito, ma sindacare è la funzione più naturale e logica di un’associazione di categoria, che ha tutto il diritto, ma anche il dovere, di opporsi e censurare l’operato di un dirigente in caso di non approvazione e condivisione delle scelte adottate.
Migliori, anche se limitati a poche occasioni, si sono rivelati i rapporti sindacali col dott. Vetro. Questi ha recepito puntualmente la messa a fuoco da parte della Uil Polizia di alcune distorsioni procedurali nel trattamento di alcuni istituti di diritto spettanti ai poliziotti, peraltro afflitti dalla cosiddetta diuturnitas, ossia dalla reiterazione nel tempo dei comportamenti individuati, e dall’aggravante dell’opinio iuris ac necessitatis, ovvero della convinzione diffusa che tali comportamenti fossero giusti, ma soprattutto giuridicamente cogenti. Stiamo parlando, per esempio, della concessione, de iure condito, del congedo straordinario di diritto per esami e per matrimonio e di quello per ottemperare, da parte di un poliziotto, all’obbligo di rispondere a una citazione promanante dall’Autorità Giudiziaria, al fine di essere escusso, in qualità di teste, per circostanze fattuali non afferenti al servizio. Infatti in quest’ultima ipotesi l’appartenente alle forze di polizia si reca in tribunale svolgendo l’attività lavorativa a tutti gli effetti. Fino a quando la Uil Polizia non si è fatta portavoce presso il dottor Vetro delle istanze di categoria, volte a ricondurre le fattispecie in questione nell’alveo assegnatogli dalla codifica normativa e regolamentare, senza affidarlo a distorsioni procedurali non godenti di legittimità dispositiva, i poliziotti di Fiumicino erano costretti a formulare un’istanza per ottenere la concessione del congedo ordinario per i giorni previsti dalle varie fattispecie, e solo successivamente, dopo essere stati fruiti, questi venivano “tramutati” in congedo straordinario, e i giorni di congedo ordinario riassegnati al dipendente.
Il direttore della V Zona della Polizia di Frontiera, dimostrando grande sensibilità giuridica nell’applicazione rigorosa del diritto positivo, ha emanato due circolari che fissano, fugando ogni margine di dubbio, il giusto e logico modus attuativo per gli istituti in esame, ponendo fine a una pratica tanto consolidata, quanto orfana di fondamenti giuridici. Un iter metodologico che, non solo imponeva percorsi distanti dai riferimenti parametrali dell’impianto legislativo in vigenza, ma produceva anche un inutile aggravio lavorativo per le risorse umane impiegate e un maggior consumo di materiale cartaceo, nonostante l’esistenza di una circolare esplicativa emessa dal Dipartimento della P.S. nel lontano 15 aprile 1986, che prevedeva l’autorizzazione ad assentarsi previa formulazione di un’istanza concessiva di congedo ordinario in casi di urgenza e solo in riferimento all’istituto del congedo straordinario per gravi motivi nei casi in cui non fosse possibile, per ovvii motivi temporali, espletare la relativa istruttoria valutativa del caso. Quella che avrebbe dovuto essere un’eccezionale eventualità si è radicata nel tempo trasformandosi in una prassi consolidata, ancorché i due istituti, il congedo ordinario e quello straordinario di diritto, siano in insanabile contrasto tra loro, essendo il primo fruibile su base discrezionale e il secondo appunto di diritto.
Ed è paradossale quanto si verificava, per esempio, nel caso in cui un poliziotto doveva sostenere un esame universitario. Questi, se voleva accedere all’istituto, veniva obbligato a presentare una richiesta di concessione di un giorno di congedo ordinario per la data della prova da sostenere e al rientro, previa presentazione della relativa attestazione, per ottenere la restituzione del giorno di congedo ordinario fruito e tramutarlo in congedo straordinario, era costretto a compilare un modello predisposto in cui chiedeva ex post un giorno di congedo straordinario da fruire in una data antecedente alla richiesta stessa, mentre il giorno di congedo ordinario (ferie) fruito e la sua commutazione non venivano mai menzionati. Una grottesca contorsione procedurale nella trattazione di una pratica d’ufficio, che non trovava giustificazione alcuna a una disamina logico-concettuale e che l’impegno della Uil Polizia ha fatto cessare, grazie soprattutto all’incontro e al confronto con il dottor Vetro.
Un gesto dovuto quindi, in quanto egli si è limitato ad applicare norme cogenti che venivano precedentemente disattese, affidando a una prassi senza conforto normativo gli iter procedurali degli uffici preposti, ma non si può non riconoscere l’approccio collaborativo di un alto profilo della Polizia di Stato a fronte di criteri applicativi illogici e non soccorsi da alcuna statuizione precettizia.
Un impegno commendevole quindi quello del dott. Vetro, giunto a Fiumicino armato di tanti buoni propositi, ma soprattutto avvolto da un’aureola inequivocabile di serietà professionale e di spessore morale, qualità imprescindibili per un appartenente alla Polizia di Stato, specie in posizioni verticistiche, ma non scontate in termini assoluti, alla luce di alcuni episodi che con cadenza periodica vanno a offuscare la gloriosa immagine dell’istituzione (un esempio su tutti l’arresto di Antonio Franco, l’ex dirigente del commissariato di Ostia il quale, secondo l’accusa, pare ricevesse un valore di circa 4000 € mensili da parte di persone legate al clan degli Spada in cambio di favori omissivi legati alla sua funzione pubblica).
Proprio l’immagine di onesto servitore dello Stato, trasudante da ogni poro del dott. Vetro, fa ancora più trasecolare di fronte a un severo procedimento disciplinare, travalicante abbondantemente i confini del paradosso, avviato nei confronti di un poliziotto, peraltro dirigente sindacale della Uil Polizia, con richiesta di destituzione dai ruoli, in occasione di un episodio in cui è stato vittima di minacce di morte e di un’aggressione da parte di un boss mafioso, che ha poi dispiegato effetti deleteri per lo stesso dipendente, per l’amministrazione medesima e per tutta la collettività .
E’ davvero singolare e sfugge a qualsiasi esercizio di deduzione logica che un noto boss criminale si rechi a casa di un poliziotto per minacciarlo di morte e aggredirlo, spedendolo in ospedale, per indurlo a desistere dal denunciare alcuni reati, cosa che peraltro ha l’obbligo giuridico di fare, e la Polizia di Stato, invece di tutelarlo, avvii un iter procedurale finalizzato al suo allontanamento dal corpo, credendo alle parole di chi aveva accompagnato il malvivente (partecipando a sua volta all’aggressione) e aveva mistificato la realtà ridisegnandola con i protagonisti a ruoli invertiti, con la ridicola tesi che fosse stato il poliziotto stesso a spaventare e ad assalire gli aggressori. Peraltro negli archivi della Polizia di Frontiera di Fiumicino al momento era presente una corposa piattaforma documentale edificata da numerosi atti che l’agente in questione aveva già prodotto nel tempo in merito all’episodio e di cui nessuno aveva tenuto conto, eleggendo a vittima un boss mafioso di notissima caratura. E’ davvero arduo scorgere la ratio che ha fornito al dott. Vetro l’impulso punitivo nei confronti del poliziotto vittima di mafia e ogni tentativo si perde in una buia vallata di ipotesi, senza mai condurre a un approdo illuminante e chiarificatore. E’ certo però che il diritto amministrativo fornisce uno straordinario istituto, che reca il nome di revoca in autotutela, per sanare un provvedimento palesemente infondato e né durante l’istruttoria endoprocedimentale in sede disciplinare, né successivamente qualcuno ha ritenuto opportuno intervenire in merito.
A sostituire il dott. Vetro, approdato alla quiescenza, è giunto a Fiumicino, per sostituirlo alla guida della V Zona, il dott. Bruno Megale, indicato come uno dei massimi esperti italiani di antiterrorismo, mentre a capo della Polaria è rimasta ancora per diverso tempo la dottoressa Tabarro. E la Uil Polizia, fedele al suo patrimonio dnatico, che le impone di non mettere il morso di fronte ad azioni che ritiene ingiuste e lesive dei diritti dei colleghi, non può sottrarsi dal denunciare pubblicamente un altro evento sanzionatorio, comminato proprio dal dott. Megale, che, ancorché di minore entità, non può passare inosservato per via della singolare censura comportamentale posta in essere. Un poliziotto, sempre dirigente sindacale Uil Polizia, molto impegnato nell’alveo culturale, giuridico e sociale si reca a Palermo, peraltro per la prima volta nella sua vita, per intervenire come relatore a un importante convegno sulla disabilità, durante il quale dovrà anche ritirare un riconoscimento. A condurre la premiazione serale, successiva di qualche ora al prefato congresso, alla presenza di un prestigioso parterre di politici, professionisti, docenti universitari e artisti, è un autorevole politico palermitano, affiancato da un’avvenente attrice molto nota e stimata in Sicilia. Durante la serata, tra il poliziotto e la donna nasce un’amicizia, che dopo il suo rientro a Roma, al telefono si trasforma in qualcosa di più. Dopo circa quindici giorni questa lo raggiunge a Roma per un paio di giorni, per poi tornarci dopo altri quindici e il rapporto inizia volgere verso un legame sentimentale. Dopo un paio di settimane ancora è l’uomo che decide di trascorrere tre giorni a Palermo per raggiungere la sua amata. E’ lei che va a prenderlo in aeroporto, ma durante il tragitto verso casa i due sono vittime di un incidente stradale. Un’automobile guidata da un pluripregiudicato, risultata poi sprovvista di assicurazione imbocca un incrocio in piena sinistra e investe il veicolo guidato dalla donna, per poi darsi alla fuga. Il poliziotto chiede alla conducente di inseguire la vettura in fuga, che dopo un paio di chilometri viene raggiunta. A bordo ci sono anche una donna in stato di gravidanza e cinque bambini. L’agente si qualifica chiedendo l’esibizione dei documenti all’autista. Questi gli risponde con un pugno in pieno viso, che fortunatamente, grazie ai riflessi pronti, lo colpisce meno violentemente, ma nel tentativo di schivare il colpo il poliziotto si procura un trauma distrattivo a un ginocchio, con lesione del corno posteriore del menisco interno. Nonostante ciò riesce a immobilizzare l’uomo, mentre subisce un’aggressione anche dalla donna che è accanto al trasgressore, risultata essere poi sua moglie. A evitare il peggio è una pattuglia dei Carabinieri, che si sta recando a svolgere un turno di vigilanza presso la residenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, presente in quei giorni a Palermo. Dopo l’arrivo delle volanti il poliziotto di Fiumicino viene prima accompagnato in ospedale per essere sottoposto agli accertamenti sanitari e poi in questura per l’adempimento degli atti di rito e la denuncia nei confronti del fermato. Tornato a Roma dopo qualche tempo gli viene notificata una contestazione di addebiti per una violazione disciplinare. La motivazione? Da accertamenti in questura a Palermo era emerso che la donna, che si scopriva essere un’ex vigilessa palermitana prima di dedicarsi al cinema e alla conduzione, era gravata da un pregiudizio di polizia. E’ lecito chiedersi come avrebbe potuto fare il poliziotto in questione a essere a conoscenza di tale circostanza, peraltro in relazione a una persona conosciuta in un contesto di alto profilo socioculturale e pertanto al di sopra del nutrimento di ogni legittimo sospetto. L’unico modo sarebbe stato di chiedere alla donna il certificato del casellario giudiziale e dei carichi pendenti, percorso impraticabile per ovvii motivi. Immaginiamo un poliziotto single che è solito frequentare molte persone, anche solo amiche o amici, per trascorrere delle serate insieme. Dovrebbe, secondo la ratio che ci giunge, a meno che non ci sfugga qualcosa, chiedere a tutti di portare seco le prefate certificazioni e mostrarle, ma ciò potrebbe valere anche per il vicino di casa che chiede un passaggio e così via. Anche perché un’iniziativa assunta da un poliziotto, sempre che ne abbia accesso (ma nella fattispecie in esame non era un presupposto possibile), per effettuare un controllo nella banca dati delle forze dell’ordine gli farebbe rischiare una condanna alla pena da 1 a 5 anni di reclusione ex art. 615 ter del codice di rito penale, peraltro tenendo conto che l’ipotesi sarebbe di farlo a ogni frequentazione incorrerebbe anche nella reiterazione e quindi nell’aggravante prevista dalla codifica dell’art. 81. Tutta quest’articolazione argomentativa, puntualmente elaborata, in sede di controdeduzioni, dal poliziotto inspiegabilmente censurato non ha convinto il dott. Megale. Risultato? L’agente è stato attinto dalla sanzione della pena pecuniaria nella misura di 5/30, il massimo ipotizzato in contestazione. Vale a dire una decurtazione di circa 250 € di una mensilità stipendiale. E’ arduo percepire l’iter logico-giuridico seguito dal direttore della V Zona di Fiumicino per giungere a tale approdo provvedimentale. Ciò che è lapalissiano e agevole da comprendere è invece il pregiudizio non irrilevante per il dipendente se lo sommiamo all’esborso di danaro che lo stesso ha dovuto affrontare per adire la giurisdizione amministrativa, producendo un ricorso al fine di vedersi annullata la punizione ritenuta ingiusta, comminata dal dott. Megale e dalla quale ci permettiamo di dissentire. Senza tener conto del detrimento psicologico manifestato dal censurato, il quale ha subito un’inevitabile coartazione nella sfera relazionale, sia sotto il profilo emotivo-sentimentale, sia sotto quello socio-amicale (in quest’ultimo alveo si sono dispiegati effetti ancora più deleteri, stante l’impegno politico dell’agente, il quale ricopre ben tre cariche elettive, in ragione delle quali incontra quotidianamente svariate persone) con un interrogativo pressoché costante circa eventuali pregiudizi di polizia dei vari interlocutori, impossibilitato ad avere nozione di tali circostanze della loro sfera privata, ma con il timore continuo di imbattersi, seppur incolpevolmente, nella mannaia disciplinare già attivata dal dott. Megale.
Tracciando pertanto un bilancio, con una disamina attenta e meticolosa del lungo lasso temporale iniziato subito dopo l’era Testaiuti e del Greco, la segreteria di base della Uil Polizia di Fiumicino, tra auspici, ideali e speranze naufragati sugli scogli di una gestione dirigenziale spesso sorda alle istanze formulate dalla base e veicolate dalla rappresentanza sindacale, come già tratteggiato, non si ritiene molto soddisfatta, ma da gruppo storicamente compatto e immerso nell’attivismo rappresentativo a tutela dei diritti dei dipendenti della Polizia di Stato continuerà a propugnare le sue tesi e a garantire il suo impegno affinché ogni statuizione decisionale considerata inadeguata e penalizzante per i poliziotti venga immediatamente stigmatizzata, con la fiduciosa aspettativa, si spera non illusione, che episodi come quelli narrati non si ripetano più in futuro.
Da diversi mesi, a prendere il posto della dottoressa Tabarro, che ha ottenuto una promozione,è stato il dott. Giovanni Casavola. La sua grande disponibilità al dialogo con le organizzazioni sindacali, ma anche con ogni dipendente, la predisposizione all’ascolto delle istanze, la straordinaria attenzione posta nel cogliere (anche autonomamente, nonostante gestisca un reparto di circa ottocento unità) ogni disagio lavorativo e la pronta attivazione nel risolverlo, con spiccata sensibilità umana, a beneficio del benessere di chi è impegnato sul fronte lavorativo, hanno fatto maturare un elevato indice di gradimento nei suoi confronti. Il dott. Casavola sembra conoscere perfettamente un assunto concettuale elementare, ma spesso disatteso e ignorato: un poliziotto che vive il suo ambiente di lavoro con tranquillità produce molto di più e di questo risultato beneficia l’apparato amministrativo e tutto il parenchima sociale. Auspichiamo che, grazie al nuovo dirigente, il futuro prossimo dell’Ufficio di Polizia di Frontiera di Fiumicino sia informato a un percorso di costruzione e collaborazione collettiva. E’ tempo di ridurre il quadro di incertezza che ha attanagliato il reparto negli ultimi anni. L’incertezza logora l’anima e sgretola la volontà. La speranza per il futuro del comparto sicurezza dell’aeroporto di Fiumicino si chiama Giovanni Casavola. Dopo il buio degli ultimi anni il nuovo dirigente è la luce della Provvidenza?