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2 agosto 2018

News

Una giornata al Pronto Soccorso di Lamezia, tra cani randagi e servizi all’acqua di rose


Sono le 9,30 circa di ieri mattina ed io, con animo colmo di apprensione, corro al Pronto Soccorso dell’ospedale di Lamezia Terme perché mia sorella, già colpita da emorragia cerebrale e ricoverata presso una clinica riabilitativa, si è sentita male.

Parcheggio la macchina e attraverso, a passo svelto, la zona adiacente alla pista dell’elisoccorso quando da alcuni cespugli occupati permanentemente da cani randagi, si stacca un pit bull che comincia, abbaiando, ad inseguirmi.

Aumento il ritmo dei miei passi, ma anche l’irriguardoso rappresentante della razza canina fa la stessa cosa. Sta per raggiungermi quando, cambiando strategia, mi giro sdegnato in un atto di sfida, pur avendo tra le mani soltanto le chiavi dell’auto. Il cane si ferma ringhiando, mentre guadagno l’ingresso del pronto soccorso ringraziando, doverosamente, il padreterno per non esserci arrivato a brandelli.

Giunto all’interno del pronto soccorso in coincidenza con l’arrivo del 118, mi sincero delle condizioni di mia sorella e mi adopero per rassicurarla circa i tempi biblici indispensabili per far scorrere i codici colorati, perché, come è notorio, il pronto soccorso dell’ospedale lametino, con risorse mediche e paramediche ridotte a lumicino, fatica incredibilmente a rispondere in tempi accettabili ad una marea di bisogni: dal gruppo di giovani feriti perché usciti con l’auto fuori di strada al bambino che ha il mal di pancia, all’anziano disidratato sdraiato dal caldo e dagli anni su una di quelle barelle che andavano per la maggiore nelle infermerie presidiarie in tempi di guerra.

Ma veniamo al seguito del tentativo di attentato alla mie chiappe da parte del pasciuto pit bull. Telefono ai carabinieri e, nonostante il mio tono visibilmente preoccupato, il rappresentante della beneamata mi passa la polizia locale; mi risponde un addetto, presumo a mantenere i rapporti con i cittadini, che alla richiesta, successiva alla mia presentazione, di conoscere il suo nome mi risponde polizia locale.

Esattamente come se io, che di professione faccio l’insegnante, alle richieste di conoscere le mie generalità rispondessi scuola elementare.

Il resto è la solita narrazione che tutti conoscono a memoria: medici, quei pochi che resistono, che allargano le braccia quando non hanno più la forza di incazzarsi; i pazienti che pagano il prezzo di star male e quello di assistere impotenti all’agonia di una sanità lametina e calabrese ridotta a scolapasta; i parenti, che forse, a volte esagerando nei modi, chiedono anch’essi attenzioni che un’istituzione necrotica non è in grado di dare.

Alle 19,40. mi faccio accompagnare per rilevare la mia automobile all’interno del recinto dell’ospedale con la mia rabbia e le mie paure, le mie preoccupazioni e la mia, spero provvisoria, sofferenza.

Venti metri più giù il pit bull gioca teneramente con quattro o cinque cani e cagnette dove gli accalappiacani non arrivano perché Catanzaro è troppo lontana. Solo per i degenti, colpiti da ictus è indispensabilmente vicina, visto che il reparto di Neurologia a Lamezia, al contrario degli spazi per i cani, che, nonostante tutto continuo ad amare, è stato soppresso perché la salute della gente ha lo stesso valore delle chiappe del cittadino che chiede aiuto ad incapaci.
Fiore Isabella


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